Cristina Guarducci, classe 1957, originaria di Firenze, per oltre 30 anni ha vissuto a Parigi dove ha praticato la professione di psicanalista junghiana. Negli anni ha maturato la sua passione per la scrittura, diventando autrice di punta della Fazi editore. Oggi torna in libreria con un nuovo lavoro, Paul e Nina, romanzo edito da Edizioni Creativa.
La terapia analitica junghiana, leggo, ha origine da una “costola” della Psicanalisi di Freud.
Cosa l’ha spinta ad indirizzare i suoi studi in questo specifico settore?
Ho “incontrato” Jung all’università, mentre studiavo psicologia, e la sua visione del mondo che dà largo spazio alla fantasia, alla creatività e alla spiritualità mi ha toccato immediatamente, ha strutturato e approfondito il mio modo di percepire la realtà. Per Jung l’inconscio è il luogo dove nasce e si modifica continuamente la vita psichica, per Freud l’inconscio è una sorta di limbo dove vengono riversati e compressi i contenuti inaccettabili alla coscienza. Anche se poi nella pratica terapeutica questi due giganti non erano poi così distanti. Per esempio ambedue davano una grande importanza all’analisi dei sogni.
Nella sua esperienza professionale il malessere psichico può ricondursi al disamore verso noi stessi?
Sì, è proprio così, il fatto di essere stati poco amati, o amati in un modo distorto, fa sì che non riusciamo ad accettarci e ad esprimerci secondo la nostra natura profonda. La psicanalisi dovrebbe servire a rendere coscienti i nodi dolorosi dell’infanzia, e a favorire una rinascita attraverso la quale possiamo modificare l’atteggiamento negativo verso noi stessi.
Nel suo ultimo romanzo, ci porta nel mondo frastagliato dei sentimenti dove psiche e cuore lottano per trovare, anche qui il giusto equilibrio. Per amare ci vuole coraggio. Tra Paul e Nina chi dei due ha avuto più coraggio?
Sono tutti e due coraggiosi, secondo me, ed è per questo che possono incontrarsi. Paul riesce a superare il suo lato conformista ed egoista, mentre Nina trova il coraggio di mostrarsi a nudo nella sua grande sofferenza. Sono due originali, due outsider, ognuno per ragioni diverse, che proprio per questo possono capirsi.
Come è nata questa storia d’amore?
È nata dalla mia storia d’amore con Parigi. Una città in cui ho vissuto gran parte della mia vita. Quando ho scritto questo romanzo la stavo lasciando per tornare a vivere in Italia, e ho voluto fissare le atmosfere del quartiere dove ho sempre abitato, il Marais, immaginando personaggi che somigliano ai tanti che ho conosciuto, molti dei quali hanno a che fare con il mondo dell’arte. Penso che Parigi sia una città dove la creazione artistica in tutte le sue forme abbia grande importanza.
Nina ha dovuto convivere con un tremendo segreto, che non sveleremo ai nostri lettori, ma le chiedo: l’amore di una madre può superare il ricordo di come è stato concepito il figlio?
Non lo so, l’amore è un mistero, può trovare la sua strada attraverso situazioni impossibili, oppure basta un’inezia a bloccarlo. Non siamo tutti uguali, uno stesso trauma può avere delle conseguenze molto diverse a seconda di come una persona è strutturata. A volte l’amore materno non ce la fa a superare lo shock, violenza e rancore restano nella relazione con il figlio, a volte forse, sì.
La storia è ambientata a Parigi, città che lei conosce bene, cosa le manca della vita parigina?
Mi mancano gli amici più che la città. Ho conosciuto Parigi in un’epoca molto diversa, in cui era più vivibile, meno cara, meno venduta al turismo e alle grandi marche. Adesso il mio ex quartiere è snaturato perché tutte le grandi città tendono ad omologarsi. Certo da un punto di vista culturale: teatro, musica, esposizioni, è sempre molto interessante e all’avanguardia, e anche questo mi manca.








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