Racconto di Monica Pasero
L’inverno era giunto in un soffio.
L’estate le sue lunghe e afose giornate apparivano così lontane adesso. Passeggiavo lungo viale Angeli, un vento pungente permise alle foglie l’ultima danza della stagione. Si respirava aria di neve: sarebbe arrivata presto ad imbiancare il viale fino al Santuario della Madonna degli angeli, il parco della Resistenza, il Rondò di Garibaldi, dove avrebbe ricoperto il busto dell’eroe dei due mondi e ancora piazza Europa, piazza Torino, Corso Nizza, Corso Francia e la maestosa piazza Galimberti, l’antica via Roma e tutti gli altri angoli ricchi di storia e cultura della mia amata Cuneo.
Per ora imbiancate erano la Bisalta e sicuramente la cima del Monviso e le sue valli circostanti. Ricordo le belle escursioni montane in Valle Po tra i sentieri che risalivano dal Pian della Regina al Pian del Re, una bella scarpinata tra rocce e cascate, colori e profumi di una terra ancor vergine. Rincuorata dal panorama e da quel silenzio rigenerante continuavo la salita per giungere alla Sorgenti del Po e, zaino in spalla e fiato corto, ancor più su tra rocce, fiumiciattoli e scalini improvvisati da Madre Natura, fino al lago Fiorenza in cui bearsi di quell’oasi di bellezza alpina dove tutto si era fermato. Nuvole passeggere correvano libere. Seduta a mirar le acque, in cui le alte cime si rispecchiavano imperiose, respiravo e mi perdevo nei ricordi tra cui il tuo: lontano da quei monti, dalla mia vita.
Sotto questo viale, ora, ci rivedo mano nella mano. Posso ancor sentir la tua risata che echeggiava fin dentro il mio cuore. I tuoi progetti, il nostro futuro. Eravamo giovani, pieni di sogni, forse troppi, per comprendere che la vita non sempre corre a nostro favore. Acqua ne è passata nel fiume Gesso, sottostante al ponte in cui la linea ferroviaria che s’innalza maestosa. Ricordo quel giorno quando quel treno si allontanò dalla Stazione di Cuneo, e ti persi. Quanti anni sono passati?
Mi siedo su una panchina. Recupero dalla borsa una lettera, quando la trovai nella cassetta della posta ero incredula, ma la tua grafia non era cambiata. Riconobbi, in quelle parole, il tuo cuore. Erano passati decenni, ero solo una ragazzina e tu un giovane in congedo. Mi ricordo quanto eri bello in divisa, e quanto la odiai! L’ultimo bacio poi il silenzio, le ore divennero giorni, mesi e anni.
Ripresi a vivere: in fondo la vita non è che un susseguirsi di eventi in cui resistere e passo dopo passo sopravvivere al dolore, alla mancanza. Resistetti a quell’inferno fino a ritrovare un barlume di felicità nelle braccia dell’uomo che oggi è mio marito. Ricordo la tua voce strozzata dal pianto, i tuoi occhi in cui emozione e paura brillavano più che mai “Amore, ho fatto un giuramento al mio Paese, e non posso venirne meno. Tornerò!”. Con quella promessa mi avevi lasciato in una fredda giornata d’inverno, Nevicava. Eri stato richiamato in missione non so per quale parte martoriata del mondo, ma da buon soldato eri partito.
Dopo 20 anni in cui le notizie di te si persero, come in una tormenta di neve, ritorni su questo pezzo di carta. Ogni parola riapre quella delusione trasformata poi in rassegnazione che chiuse la porta con il passato, ma ora bussa ingombrante più che mai nel mio cuore. Avrei dovuto stracciare questa lettera! Il campanile della chiesa rintocca le 9. Mi incammino. Prendo alcune vie laterali per giungere prima. Ci siamo dati appuntamento al nostro solito bar, a distanza di vent’anni è ancora lì. Entro, mi avvolge il calore e il profumo del caffè, dei meravigliosi dolci appena sfornati. Cerco posto nella saletta barocca: quei divanetti e poltroncine rosse, il lampadario di Cristallo mi ricordano tanto Venezia. Mi guardo al grande specchio, sistemo i capelli ormai tinti, permane il rosso lo stesso di allora. Gli occhi sono ancora belli, celesti, oggi lucenti più che mai.
“Alle 9.30 al solito posto!”.
“Chissà se poi verrà.”
Ogni scampanellio della porta mi fa sussultare. L’attesa mi strazia. Il timore di ciò che potrei provare nel rivederlo… riempie la mia mente di cattivi pensieri. Torno con i piedi per terra: sicuramente si sarà sposato, avrà dei figli. Maledizione! Perché cercarmi ora che la mia vita iniziava e essere serena? Che ci faccio qui? La paura mi assale, mi spinge ad andarmene, mi guardo intorno, confusa, gente sorseggia allegra il suo caffè, le cameriere vanno avanti indietro dai tavoli, il rumore della macchina dell’espresso fa da sottofondo. Non respiro! Non voglio che mi veda cosi: invecchiata. Non sono più la stessa ragazza sognante di allora. Mi alzo, faccio per uscire, quando sulla porta lo scontro è inevitabile, i nostri occhi si ritrovano. Nemmeno le brutture della guerra hanno mutato i suoi. Rivedo il suo volto… i ricordi mi assalgono, nulla è davvero mutato. Ci guardiamo per un tempo indefinito. Tutto può iniziare e finire in un attimo, ma ciò che so, ora, è che quell’ attimo presente è tutto ciò che ho di più caro al mondo… Fuori nevica.
Racconto inserito nell’ antologia, il giro del mondo in 80 racconti. Edizioni Affiori. (Perrone Editore)








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