“Le parole acquistano tutte un peso specifico.
Una storia che non lascia indifferenti.
Non mi aspettavo di rimanere così coinvolto”.
Gianmarco Serra
Lavorare nel mondo delle parole è uno strano e meraviglioso mestiere; capace di portarci in luoghi lontani, di farci perdere la pazienza, ma anche farci scappare un sorriso… un lavoro in cui la comunicazione diviene basilare e non basta saper distinguere un verbo da una congiunzione, conoscere a fondo la grammatica e tutto ciò che ne consegue… ci sono basi ben più profonde a cui un buon editor si appoggia e, con tanta pazienza, dona una veste perfetta, o quasi, all’ opera; e lo sa bene l’ospite di oggi: una professionista del settore. Una editor amata, ma soprattutto una donna sensibile e garbata che ha saputo unire la sua passione per la lettura alla professione; ma oggi non è qui in veste di editor; questa volta si trova dalla parte opposta, bensì in veste di autrice. Da poche settimane ha pubblicato per la Piemme Editore il suo primo romanzo: “Il mestiere di mia madre”. Oggi ne parliamo insieme. A Oltrescrittura ho il piacere di ospitare la scrittrice ed editor, Costanza Ghezzi.
Benvenuta Costanza, “Il mestiere di mia madre”. Come è nata questa storia?
La storia nasce dal racconto che mi ha fatto un’amica della sua vita: una storia forte, emozionante e dolorosa. Mi ha chiesto se potessi farne un libro, lasciando a me la libertà di romanzarla e di porre il focus sugli aspetti che mi parevano più interessanti. È stato un viaggio bellissimo che mi ha portata a scoprire e conoscere personaggi e luoghi che mi hanno accompagnata durante la parte creativa della scrittura.
Una storia che ci porta nei complicati rapporti tra madre e figlia, ma in questo caso le ragioni dei loro dissapori non sono per frivolezze, la storia ci porta in un contesto più ampio, toccando tematiche delicate e degne di attenzione. Ti va di svelarci qualcosa?

Il romanzo vuole essere non solo un romanzo storico, ma anche romanzo sociale e di formazione. Il quadro storico mi è stato utile per definire lo spazio entro il quale le protagoniste si muovono. Le loro azioni sono perfettamente inserite in un certo ambiente socioculturale, dove per vivere bisogna combattere ogni giorno e poco tempo resta per pensare alle frivolezze o alle emozioni superflue. Il percorso di crescita di Flaminia, il suo passaggio dall’infanzia all’adolescenza con la consapevolezza che questo comporta per lei, fanno sì che possa essere ascritto anche al genere del romanzo di formazione che tanto caro è agli scrittori e ai lettori di questi ultimi decenni.Il rapporto madre e figlia è il fulcro di Il mestiere di mia madre, ma si parla anche di prostituzione, di rapporti violenti, di solitudine e infanzia deprivata degli affetti importanti, di tossicodipendenza.
Lucetta, la madre, un passato doloroso, l’amore spesso idealizzato la porta a scegliere nuove vie, forse più facili, perché “Bisogna fabbricarla da sé, la fortuna”. Utopia o realtà?
So che ancora resta per molti, ma soprattutto per molte di noi, un’utopia, ma io ci credo veramente. E per fortuna non s’intende per forza il successo economico o professionale, mi riferisco piuttosto al nostro star bene, che è ciò a cui tutti dovremmo aspirare. Ancora si rimane troppo spesso in attesa che altri siano i responsabili della nostra felicità/infelicità, magari perché è più facile attribuire al fuori (amori, amici, famiglia, contesto sociale) la causa delle nostre insoddisfazioni. Questo afferma Lucetta, che però segue un ragionamento limitato ad assicurarsi il guadagno necessario per togliersi qualche capriccio e per non dover chiedere soldi a nessuno. Se ne appropria poi Flaminia, che capisce che è inutile stare a piangere per una sorte che le ha dato una madre anaffettiva e speciale per il non amore che riesce a darle. Ma che, se vuole avere una vita diversa, da Lucetta si deve staccare e proseguire con le sue forze.
Flaminia subisce le decisioni della madre, vivendo la sua vita in un istituto religioso; un luogo di chiusura in cui è combattuta se amare o meno, “una madre intermittente, splendida e terribile”. Flaminia appare la vera protagonista della storia; è così?
In realtà è difficile separare i ruoli, entrambe sono protagoniste. Lucetta è sicuramente la protagonista assoluta nella prima parte, lo sono entrambe nella seconda, mentre nella terza lo è Flaminia. Se vogliamo attribuire i ruoli secondo lo schema narratologico di Maureen Murdock, Flaminia è l’eroina positiva, Lucetta rappresenta la signora oscura, l’antagonista. Ma sono entrambe due personagge molto forti, che credo – e spero – rimarranno per un po’ nell’immaginario delle lettrici e dei lettori.
Il periodo storico, in cui ambienti il romanzo, è legato a qualche particolare motivo?
Ho inserito la storia nell’ambiente temporale che le era naturale, un arco di tempo che va dalla fine della Seconda guerra mondiale fino ai giorni nostri, per seguire cronologicamente la crescita delle protagoniste. Diciamo che l’arco temporale accompagna la vita reale di Lucetta e Flaminia. Sono anni molto importanti per l’Italia, avvengono molte cose: una per tutte il passaggio – segnato dalle due guerre – da un’Italia contadina alla società dei consumi. E poi il grande movimento del ’68. Ma i personaggi del romanzo sono appena sfiorati dalla Storia con la esse maiuscola perché troppo occupati a salvare se stessi da motivi contingenti, pratici.
Qual è il messaggio che volessi arrivasse al lettore?
La famiglia a volte può essere devastante, ma non dobbiamo permetterle di determinare tutta la nostra vita. Non dovremmo essere legati per sempre al trauma di una madre anaffettiva e di un padre che non abbiamo mai incontrato. Certo quelle narrate nel romanzo sono situazioni abbastanza estreme, ma nella cultura italiana e di base cattolica, a mio parere si continua ad attribuire ai legami genitoriali troppa importanza. Tutti abbiamo la possibilità di autodeterminarci, essere indipendenti e raggiungere obiettivi che sono solo nostri. E che poi l’amore – quello raccontato ovunque – non è poi così per forza necessario: si può incontrare certo, ma non è detto che sia per sempre. Possiamo decidere noi come, quanto, dove viverlo e con chi, l’amore.
Tre buoni motivi per leggere il tuo romanzo?
Perché è una storia emozionante.
Perché presenta una scrittura coinvolgente e non convenzionale, cinematografica.
Perché è un romanzo che parla di donne che lottano per la loro indipendenza.
Progetti futuri?
Ho qualcosa che mi frulla in testa, ma ancora è presto per parlarne. Per adesso vorrei far conoscere la storia di Lucetta e Flaminia a più persone possibili.
Definisciti in una sola parola?
Curiosa.
E grazie mille per la bella opportunità che mi hai dato con questa intervista.
Ringraziando Costanza per averci fatto conoscere il suo romanzo, vi ricordo il link dove acquistarlo.








Lascia un commento