GLI ELEMENTI DEL MIRACOLO, EDIZIONI PAGINE
Gli elementi del miracolo è una silloge di cento poesie sul tema del miracolo. In questo excursus lirico negli spazi temporali di questi versi non troviamo in realtà nessuna descrizione o illuminazione che parli di qualcosa di propriamente miracoloso. Sia a cominciare dalla prima lirica, sia fino al finale di questa raccolta il tema predominante sembra paradossalmente essere non quello del miracoloso, ma del metamorfico, del mutamento delle forme inevitabile e irreversibile all’interno dell’orizzonte del divenire. In questi scritti, sia con lacerante drammaticità che con catartico distacco, ci ritroviamo in un eterno ritorno dell’uguale, in cui questo essere sempre se stesso è essere sempre diverso e divergente, è il mutamento delle cose nelle stagioni, è la perdita dei propri cari e propri affetti, è il ricordo come oasi mutevole e inafferrabile, è la nostalgia onnipresente per il passato ma anche per un futuro che non si compie più, se non nel senso di un eterno presente cristallizzato nella manchevolezza, è la disintegrazione della parte più profonda di se stessi, perché sempre più inenarrabile e altra, è la fine di una civiltà esistenziale e culturale, nella fattispecie quella novecentesca, è il senso del tempo che scrive le sue storie sul nostro stesso corpo, che non si riconosce più giorno dopo giorno, disperdendosi in immagini difformi o straniere. Inoltre all’interno di queste tematiche coesistono anche diverse concezioni del miracoloso, che rimangono sulla soglia del dicibile, come domande sospese e irrealizzate, richieste di senso che si avvicinano alla poesia per poter avere voce. Gli elementi primigeni e chimici della natura entrano dalla tavola periodica in questi scritti a ricordare il senso razionalistico e illuministico del miracoloso, che non può essere assolutamente la deroga o contraddizione dell’atto divino rispetto alle leggi della natura e ai suoi elementi chimici primigeni, ossia la perfezione e immutabilità divina non può operare contro le leggi della natura poste in essere nella creazione da lui stesso, rendendo così il mondo contraddittorio, inconoscibile, inintelligibile e casuale, come pensava buona parte del pensiero illuministico. Sembrerebbe che questo poetare ponga in essere silenziosamente il quesito sul miracoloso per arrivare anche a negarlo, mostrando tutta la transitorietà irreversibile dell’esistenza, attorno alle ferree leggi che regolano l’accadere e il divenire, così la mancanza di un atto sovvertitore o chiarificatore a tutto questo, secondo una concezione positivista. D’altro canto niente fa pensare che si intenda in questi scritti e si ricorra alla concezione del miracolo perpetuo divino, in cui non sia più distinguibile l’atto del creatore e le leggi del creato, la creazione iniziale e quelle successive e continue, scomparendo così la distinzione tra natura e miracoloso, seguendo la linea che distingue l’intervento miracoloso in ordinario e straordinario. Varie concezioni e ricerche sul senso del miracoloso vengono alla luce da questi versi per poi rimmergersi nel gorgo di un animo contemporaneo, scisso tra luce e ombra, spirito e materia. La Poesia vuole farsi tramite di un incontro e di una lacerazione, che è il chiedersi, in un mondo connotato dal disincanto e dalla sola apologia della materia, come si possa avvertire ancora il richiamo per ciò che è non metamorfosi nel divenire, ma manifestazione dell’Essere, grazia miracolosa, nell’eterno fluire delle cose che si fa perciò segno, epifania, espressione dell’assoluto. In questo senso, torna alla mente e in questi versi, la grande lezione del filosofo Schleiermacher e la sua concezione ermeneutica dell’esperienza religiosa, che sa rivelare la presenza dell’infinito nel finito, dove l’esperienza soggettiva estetica e del sentimento, da un punto di vista ermeneutico, ha la stessa valenza e valore dell’esperienza etica o di quella speculativa e scientifica. E quindi in questo disarmonico incontro tra visioni, domande e sentimenti, che non sanno compiersi in una visione omnicomprensiva, l’unica esperienza che in modo metalinguistico si staglia a dar ragione del senso del miracoloso è non altro che la Poesia stessa nel suo farsi e leggersi, che nel descrivere la metamorfosi e la radicalità del divenire la trasfigura nella stessa parola poetica e nel suo rimando essenziale all’eternità e all’universale, di tutto ciò che sembrava destinato a significare solo decadenza e disincanto. Ancora una volta la poesia tenta di assumere su di sé il senso profondo e metafisico dell’esistenza, ancora una volta la poesia trasfigura la realtà in parola, la carne in verbo, e simbolicamente, in modo asimmetrico, richiama l’altro vero e autentico farsi del miracoloso, che è accaduto, accade e accadrà sempre quando la parola si fa vita, la poesia si fa realtà, il verbo si fa carne e le cose cominciano ad essere espressione ontologica, non più solo simbolica, di un assoluto che in eterno e nel silenzio, sta al di là del linguaggio e si manifesta nella realtà ad illuminarla. “Ella si va, sentendosi laudare,/ benignamente d’umiltà vestuta;/ e par che sia una cosa venuta/ da cielo in terra a miracol mostrare.” (Dante Alighieri)
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