LA CURA
Edizioni Del Faro.
Di Alessandra Palisi
“Non ho vissuto, cara mamma, sono solamente sopravvissuta con la mia tenacia e la mia audacia forza di volontà ad un gioco, uno strano gioco a cui gli altri mi avevano iscritto (in questo caso tu, mamma, e tu, papà). Mi hai dato alla luce in un pomeriggio di un anno assai lontano, eppure posso dirti che solo con la tua morte si è finalmente reciso quel legame concretizzato dalla presenza ancora di quel cordone ombelicale che l’ostetrica dovette necessariamente tagliare al momento della mia nascita, cioè, del mio uscire trepidante dalla dimora più bella che possa esistere: il tuo grembo!”.
(La Cura, Alessandra Palisi)
Dicono che la cura migliore per tutti i mali sia l’amore.
L’amore è la via verso la guarigione, ma ci sono ferite che sanguinano, che non si rimarginano soprattutto se non lo si vuole, se si preferisce rimanere chiusi nel proprio dolore, come se nessuno potesse comprenderlo o quantomeno alleviarlo.
In questa narrazione ritroviamo tutta la sensibilità dell’autrice, già nota in “Cara, carissima mamma”, libro che consiglio di leggere prima di quest’opera.
In queste pagine l’autrice espone il suo sentire: il suo mal vivere, il suo senso di non appartenenza a questo Mondo. Il sentirsi in balia degli eventi nel caos di un’umanità che non trova affine a sé, che non comprende.
È come fosse su una giostra che gira vorticosamente e lei non sa a cosa o a chi aggrapparsi per mantenere il suo equilibrio; il suo orientamento vacilla ora che la mano, che trovava sempre tesa, a cui sorreggersi, non c’è più.
Ormai donna, ma con il cuore di bambina, si sente persa in una vita che è costretta a vivere, in un contesto sociale davvero pesante, in pieno periodo pandemico.
Sono pagine in cui l’autrice si racconta e ci trasporta nelle tristi vicende familiari che hanno colpito la sua famiglia, ma soprattutto viaggeremo con lei nei meandri della sua psiche. Ci sono stati dell’essere che ci portano ad estraniarci, sentirci lontani da questa società, dove i legami, le relazioni e i rapporti interpersonali sono difficili da sostenere; ci vuole coraggio per vivere appieno tutte le emozioni che la vita regala, sia in bene che in male.
L’autrice ha preferito estraniarsi, rifugiandosi nella lettura, nello studio, nel sapere… e la sua conoscenza è davvero vasta: la troveremo tra queste pagine nei diversi argomenti che arricchiranno ancor più la narrazione.
La sua anima, curiosa, leggera, come le ali di quella farfalla che sente insita nel suo essere; unisce aneddoti del suo vissuto con estemporanee riflessioni che mirano a completare il quadro del suo sentire, unendo la sua parte empatica e sensibile a quella mentale, preparata e consapevole.
La sua sete di sapere, di apprendere, di esplorare tematiche differenti la porta a nutrirsi di nozioni per comprendere meglio l’essere umano visto da un punto di vista teologico, filosofico e storico, seppur è la parte più empatica che lei ricerca e sente mancare nell’ umanità…
Vive in una specie di prigionia, condannata alla caducità della vita che toglie e passa, e si trova a dover coesistere con la mancanza della madre e il disamore per sé stessa. Le paure sono molteplici: la morte, il futuro incerto, la salute dei suoi cari, l’imprevedibilità della vita con tutte le sue delusioni. La sua condizione di salute e personale la porta a sentirsi fragile, innanzi alle brutture di un mondo sempre più duro e privo d’amore a cui si sente estranea.
Le uniche finestre verso un cielo sereno sono i ricordi della sua infanzia, dove bambina si sentiva realmente libera, e della sua amata mamma sempre pronta a proteggerla. Una fortezza in cui nascondersi da quel mondo che non comprende, che la spaventa in cui non sa “viverci”.
Un legame con la madre talmente forte da divenire dipendenza.
Questa opera mi conduce a sostenere che certi legami possono divenir nocivi quando non si trova la nostra individualità, quando ci si aggrappa troppo ad un altro essere umano, senza trovare in noi stessi l’equilibrio per vivere e viverci.
Ma esiste una cura per alleviare quel profondo dolore che si alimenta del nostro pensiero? Una cura che possa placare la mancanza di quell’ amore viscerale che la protagonista ha per la madre?
Il termine cura, però, oltre a quello medico, ha più di un significato, sia in campo filosofico che spirituale. Nel contesto cristiano la “cura” era intesa come la “cura animarum”, ovvero la “cura delle anime”. Questo termine sottolineava l’importanza di prendersi cura della salute spirituale delle persone, accompagnandole in un cammino di redenzione e fede. Ovidio, invece, nelle sue opere utilizzava il termine “Cura” per indicare un affanno dell’anima, una tensione emotiva, lo stesso stato d’animo che ritrovo nell’ autrice.
Tra queste pagine la Cura, a mio parere, non viene intesa solo come guarigione, l’autrice non guarirà mai dal bisogno di sua madre, come qualunque figlio o figlia che ha avuto la fortuna di amare la propria madre così profondamente, bensì più come accettazione del suo percorso terreno e sprono per ritrovare un giusto passo nel cammino che da oggi in poi dovrà fare da sola.
Lettura consigliata.
Monica Pasero
DELLA STESSA AUTRICE
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