NARRATIVA D’INCHIESTA, EDIZIONE SWAABOOK
Un’ inchiesta accurata su una tematica
spesso lontana dall’interesse della comunità.
Esiste “Il silenzio dentro” ed è fatto di noi, dei nostri sbagli, dei nostri sogni andati in fumo, di una realtà difficile da accettare in cui non ci sono vie di fuga, in cui dobbiamo fare i conti con noi stessi e spesso ci sentiamo abbandonati, soli, persi in quel luogo affollatissimo, dove siamo costretti a convivere, dove il domani appare un’utopia; i giorni tutti uguali, infiniti e oscuri.Ma questo che ho descritto non è l’inferno, ma ciò che la maggior parte dei detenuti vive nelle carceri.
“Uomini sepolti dall’ ergastolo” li definisce così Carmelo Sardo,(Giornalista e scrittore) in una delle interviste raccolte in questo volume scritto dalla giornalista, Francesca Ghezzani che è riuscita-a portare all’attenzione, in modo chiaro ed incisivo, una realtà spesso volutamente dimenticata, il mondo carcerario.
Ma cosa davvero si cela dietro a quelle sbarre?
Siamo tutti concordi nel dire che la detenzione è giusta. La legge va rispettata. Chi sbaglia deve assumersi le responsabilità del suo atto, e pagare. E forse è anche per questo (direi giustamente) che vediamo nel soggetto in questione più il danno che ha provocato e non tanto il malessere che la detenzione potrebbe arrecargli. Ma è davvero corretto solo colpevolizzarlo e lasciarlo al proprio destino? Oppure sarebbe opportuno rivalutare lo scopo della detenzione e dargli il giusto senso? Si rinchiude un soggetto pericoloso per allontanarlo dalla società o per educarlo a vivere nella società?
Il percorso carcerario dovrebbe avere una funzione riabilitativa, lo stabilisce l’articolo 27 della Costituzione della Repubblica Italiana, che decreta: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Ma la realtà carceraria è un’altra.
Leggendo questo libro sono venuta a conoscenza di aspetti a cui non avevo mai dato la giusta importanza, come credo la maggior parte di noi, se non addetti ai lavori o coinvolti in prima persona. La Ghezzani butta giù quelle sbarre e lo fa con le parole e le testimonianze di molte persone che lavorano nel settore, riportando su queste pagine la triste realtà delle carceri italiane, i problemi quotidiani di chi “vive” e il Carcere. In ogni intervista, Francesca, con domande mirate riesce a far emergere i vari aspetti sottovalutati della vita penitenziaria; si evince negli intervistati la loro parte più umana: tutti concordi che la detenzione è giusta, ma deve servire a condurre il detenuto a reintegrarsi civilmente nella società… ma non sempre ciò avviene.
“Secondo dati pubblicati recentemente dal CNEL, la media dei reati per ogni detenuto è di 2,4, mentre perogni detenuta è di 1,9. Il tasso di recidiva è stimato al 68,7%, ma si afferma che possa scendere fino al 2%per i detenuti che hanno avuto l’opportunità di un inserimento professionale.”. (Pag. 32 “Il silenzio dentro”)
Questo perché spesso questa opportunità viene a mancare.
Monica Bizaj, presidente di “Sbarre di Zucchero”, APS. intervistata dalla Ghezzani, dice: “Il carcere ormai, da troppo tempo, viene usato come discarica dei disagi sociali e delle povertà sociali, l’assenza di welfare si traduce in custodia cautelare in carcere praticamente automatica, anche per reati minori/o legati alla povertà e alla tossicodipendenza. L’assistenza sanitaria, psicologica, psichiatrica, drammaticamente carenti, determinano che le persone ristrette per reati connessi alla loro condizione, non venendo adeguatamente curate, rientreranno in società con gli stessi disagi, se non peggiorati dall’uso/abuso di psicofarmaci durante la detenzione, portandoli di conseguenza alla reiterazione dei reati. Idem per l’assenza quasi totale di progetti e proposte rieducative e di inserimento lavorativo. Perché nelle carceri italiane sono imprigionati la povertà e il disagio di una società emarginante e il tempo di esecuzione della pena resta lontano anni luce dal dettame costituzionale, divenendo un mero non-tempo in un non-luogo”.(CAP. 2 Pag. 45 Il silenzio Dentro)
Ciò che avviene in quegli alti e grigi edifici con le sbarre ai muri, che molti di noi abbiamo visto solo da lontano o nelle tante fiction dedicate, (che spesso non rendono bene l’idea di cosa realmente vive il detenuto) Non lo sappiamo. Ma in questo libro a Ghezzani ci aiuta a fare luce a riflettere sulla realtà carceraria in Italia.
Una condizione davvero allarmante, che coinvolge si i detenuti ma anche i loro familiari e chi ogni giorno lavora in quei luoghi; è un domino di emozioni che si scagliano per forza di cose … dal malessere del detenuto, alla consapevolezza degli agenti che si relazionano con loro, alle famiglie, impotenti innanzi a quel mondo lontano in cui i loro cari sono rinchiusi. La questione poi si fa ancor più drammatica quando è una madre ad essere rinchiusa… I carceri non sono luoghi in cui far crescere dei bambini … ma spesso alcuni nascono tra quelle mura. Tra le tante testimonianze raccolte in questo libro mi hanno toccato le parole del pediatra, Paolo Siani che durante l’intervista alla Ghezzani, dice: (…) Gli psicologi hanno dimostrato che esiste la «sindrome da prigionia»: i bambini detenuti possono sviluppare difficoltà nel gestire le emozioni e senso di inadeguatezza, di sfiducia, di inferiorità, che si accompagnano a un tardivo progresso linguistico e mo’ torio, causato dalla ripetitività dei gesti, dalla ristrettezza degli spazi di gioco, dalla mancanza di stimoli. E una mamma dell’ICAM di Lauro 18 mi ha confidato che la prima parola che il suo bambino ha detto, un po’ dopo il primo anno di età, non è stata “mamma” come avviene generalmente, ma “apri”. Perché “apri” è la parola che quel bambino ascoltava più spesso nel carcere. Basta questo per far capire che il carcere non è assolutamente un luogo per bambini.” (Cap. 12 Pag. 122 Il silenzio Dentro).
Ma oltre a questo aspetto davvero triste ce ne sono altri da non sottovalutare: dietro quelle sbarre vivono detenuti che coesistono per forza di cose in quelle mura, molto spesso i pochi stimoli, la realtà del momento, la consapevolezza dei loro sbagli, la mancanza della libertà e la visione di essere senza un futuro, li portano al suicidio; a quel punto di non ritorno. Ma occorre sottolineare che spesso a questo atto estremo, viene portato non solo il detenuto ma anche chi lavora in questo ambiente.
Antonella Cortese, Psicologa intervistata dalla Ghezzani a tal proposito dice: (…) Purtroppo, i casi di suicidio nelle carceri, sia tra i detenuti che tra il personale penitenziario, sono una realtà tragica e dolorosa, spesso ignorata o minimizzata. I detenuti vivono in condizioni di isolamento, sovraffollamento e mancanza di prospettive, fattori che aumentano il rischio di gesti estremi. Ma ciò che viene meno considerato è l’impatto devastante che queste stesse condizioni hanno sul personale penitenziario. (…) Lavorare in un ambiente degradato, con carichi di lavoro insostenibili e senza un adeguato supporto psicologico o emotivo, ne mette a dura prova la salute mentale. Il senso di abbandono e la sensazione di essere intrappolati in un sistema che non funziona si fa sentire anche su di loro, portando in alcuni casi a esiti tragici. (Cap 4. Pag. 66 Il Silenzio Dentro).
Sono davvero tanti gli aspetti toccati in questo libro da analizzare. Ma sta a voi farlo, leggendolo. Io posso dirvi che è Una lettura educativa su tutti i punti di vista. Tra queste pagine leggeremo il parere di giudici, criminologi, psicologi, medici, religiosi, associazioni, volontari; leggeremo testimonianze anche di detenuti che sono riusciti a ritrovare la giusta via. Un libro che consiglio a tutti, anche ai meno ferrati in materia, perché l’autrice ha saputo unire una capace argomentazione ad una scrittura fluida e immediata.
Concludo con un altro aspetto che ho scoperto in questa lettura: “La fede che sopravvive alle sbarre”.
Nell’ intervista a don Luigi Ciotti presbitero e attivista dice: (…) È una fede che ha tanti volti, tanti simboli, tante lingue in cui si esprime e “dei” a cui si rivolge. In ogni cella si trovano immagini sacre ricollegabili alle religioni più diverse, e preghiere scritte in ogni alfabeto del mondo, a rispecchiare l’umanità multietnica che le abita. Dai crocefissi alle immaginette dei santi, dalle divinità orientali alle icone della Madonna, passando per i ritratti dei Papi o di altre guide spirituali, in prigione le religioni sembrano convivere in modo più armonico rispetto al mondo esterno: le varie confessionidell’Islam così come del Cristianesimo, l’induismo e le altre fedi d’Oriente trovano in quegli spazi stretti un vincolo di reciproca tolleranza. (…) (Cap. 14 Pag. 136)
E una riflessione qui è importante: il mondo al di fuori delle sbarre seppur libero e grande e ricco di stimoli non riesce a coesistere con religioni differenti, ma in quell’ ambiente ristretto, in cui uomini di diverse culture si ritrovano a vivere insieme, stipati come sardine in scatola, la fede viene tollerata. Forse perché in quel “Silenzio dentro” solo il loro Dio sa realmente ciò che provano.
Lettura consigliata.
Monica Pasero








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