Oggi nel mio spazio, dopo la pausa estiva, ritorna un gradito ospite: un artista poliedrico, un musicista noto a livello internazionale. Oltre alla sua carriera musicale, concertistica, che lo ha portato ad esibirsi in vari teatri di tutto il mondo; nutre un’altra grande passione: la scrittura.
Il suo percorso letterario è foriero di produzioni di alto livello, pluripremiate, che vanno dalla saggistica, al romanzo fantasy, al romanzo storico, ai racconti storie di vita nutrite da una capacità descrittiva e dialettica non indifferente; nei suoi libri si avverte l’anima di questo autore, tutta la sua completezza e sensibilità artistica.
Oggi torna in libreria, sorprendendoci, con la sua primissima raccolta poetica. “Schiudeva primavera le corolle”. Conosciamo meglio questa silloge dalle parole dell’autore. “Queste poesie coprono un arco di tempo di circa dieci anni: alcune sono state scritte fra il 1983 e il 1993, nei momenti delle prime crisi esistenziali della giovinezza; altre appartengono a periodi successivi, nei quali riaffiorano i ricordi di quei momenti lontani”.
Poesie che si ritrovano a distanza di anni, un percorso emotivo ed evolutivo tracciato da Pierfederici che ha unito stati d’animo differenti, portando in questa sua nuova opera la sua anima, denudandosi dalle sue paure ha affidato alla penna le sue emozioni. Una silloge che vi invito a leggere, non solo per la bellezza del saper scrivere indubbia in Pierfederici, ma per la sua profondità … ogni poesia ci trasporta in ricordi che accomunano molti di noi, ci spinge ad emozionarci a comprendere quanto la poesia, anche oggi, in questa società fatta di illusoria felicità, possa fare bene al cuore e allo spirito.
Ben ritrovato, Alessandro, raccontaci come è nata questa raccolta?
Sono poesie scritte in gran parte in età giovanile e riprese e riviste per la pubblicazione, alle quali si sono aggiunti sia alcuni componimenti di anni più recenti, nei quali ho ripreso sotto forma di ricordo le sensazioni di allora, sia qualche poesia dalla tematica diversa ma affine (memorie infantili, paura della crescita, sensazione di smarrimento dell’innocenza originaria, innamoramenti fugaci mai svelati). Ho voluto raccogliere tutti i versi ispirati alle passioni giovanili deluse, al senso di vuoto interiore di fronte allo scorrere del tempo, alle emozioni suscitate dai ricordi, in particolare quando vicende analoghe a quelle di anni prima stimolano emozioni, nostalgie, sofferenze che credevo sepolte nel mare del tempo. E quindi nella raccolta, gli episodi narrati e descritti e le relative sensazioni si sovrappongono in un continuo andare e venire da un periodo all’altro, avendo in comune solo quel gran senso di vuoto che prende al risveglio, allo svanire di un bel sogno, che lascia dietro di sé solo malinconia e nostalgia.
Schiudeva primavera le corolle, perché hai scelto proprio questo titolo?
Dare un titolo ad un lavoro letterario è sempre stata una sfida per me per riuscire a sintetizzare il contenuto e il significato dell’opera in poche parole che siano descrittive ed evocative. Il titolo di questa raccolta, che è poi anche il titolo e il primo verso di una delle poesie, descrive il contesto giovanile nel quale sono nate e ambientate gran parte di queste poesie, con la classica metafora della primavera come giovinezza della vita e dei fiori che si aprono alla luce, al tepore, come la vita dell’adolescente e poi del giovane si apre alla speranza ai sogni. Quando andavo a scuola ogni mattina a scuola, là dove avrei rivisto la protagonista della prima vicenda sentimentale, passavo sempre accanto a numerosi giardini fioriti e ad una fioreria dalla cui porta aperta, a primavera, usciva un incantevole profumo (“Il profumo zuccherino dei fiori a primavera” mi annotai allora per scrivere una poesia, e quelle parole sono presenti, lievemente modificate, proprio nella poesia che dà il titolo alla raccolta). Ci sono perciò due elementi, uno temporale, la giovinezza ed uno emozionale; ed entrambi sono un punto di partenza poiché nel corso della raccolta compaiono riferimenti a tutte le stagioni con i loro simbolismi tradizionali, collocati però nella vicenda interiore e nei sentimenti di una vita che avanza incontro a delusioni e sofferenze che il titolo non faceva presagire. L’ultima poesia, che ritengo fra le migliori ed è fra le mie preferite, per una coincidenza non preordinata ma poi accettata con entusiasmo all’atto della revisione e sistemazione dell’opera, si chiude con la parola “inverno”.
La tua lirica attraversa vari stati dell’essere: dalla fanciullezza, alla giovinezza, alla passione, fino a passare alla maturità colma di rimpianti e nostalgie. Oggi, rileggendole, cosa diresti al giovane poeta di ieri?
Credo che sarei sotto molti aspetti sorpreso dalla verità interiore che già a quell’età riuscivo a definire attraverso parole che sgorgavano in modo naturale ed intuitivo sotto la sollecitazione delle emozioni e delle vicende. Ma ciò che più conta è il fatto che tutt’oggi mi riconosco ancora pienamente in quel giovane poeta, sento che anche quei versi più lontani nel tempo, nati ormai decenni fa, mi appartengono ancora, tanto che, al di là di qualche piccola modifica metrica e qualche spostamento nel loro ordine, sono rimasti gli stessi, e sono intrisi dello stesso spirito delle poesie più recenti, poiché tutto prende vita nella prospettiva della memoria, del passato, di una realtà che è sempre più lontana nel tempo e non tornerà più.
Qual è il messaggio che vorresti far arrivare al lettore?

Questa raccolta è una confessione interiore, un percorso individuale nella memoria di momenti, vicende, sentimenti passati, che riappaiono ogni volta che qualcosa, una parola, un oggetto, un pensiero, mi riporta a quei periodi.
Se un messaggio si può cogliere tra questi versi, il loro simbolismo e significato, direi che può essere quello del valore della propria individualità, della propria verità, un valore che ciascuno possiede e che purtroppo a volte nega o sminuisce con le proprie azioni, ma che, idealmente, avrebbe la possibilità per chiunque di diventare poesia, parola dal potere immenso ed universale. Uno degli apprezzamenti più importanti che ho ricevuto su questa raccolta è stata la considerazione dell’universalità dei sentimenti espressi nei quali, pur essendo essi frutto dall’esperienza individuale e intima, chiunque potrebbe riconoscersi o ritrovare una parte di sé. Diventare voce comune a tanti attraverso le proprie parole e il proprio vissuto è certamente una grande gioia e dà un senso profondo dall’esistenza della poesia, che ritrae, esprime, insegna la vita in tutte le sue forme, anche le più sofferte.
Borges diceva: “Ogni poesia è misteriosa. Nessuno sa interamente ciò che gli è stato concesso di scrivere”. Nelle tue composizioni hai mai avuto la sensazione di non essere solo nel comporre?
Sono del tutto d’accordo con Borges: ciò che c’è dietro le parole di una poesia non è solo ciò che ha ispirato l’autore coscientemente ma anche ciò che sorge dal suo animo inconsapevolmente e, soprattutto, il mistero più fitto della poesia è dove vadano a finire le onde suscitate dal sasso dei versi, gettato nello stagno dell’anima del lettore.
Ciò che mi ha sempre accompagnato nella creazione poetica è una sorta di intuizione, un momento istintivo, rapido, nel quale le parole nascono quasi da sole, con il loro ritmo e il loro significato. Ancora oggi ricordo perfettamente il momento in cui ho scritto alcuni versi che da allora mi sono rimasti impressi nella memoria, così come erano nati. Non so se ci sia qualcosa o qualcuno che detta le parole allo spirito coinvolto dall’estasi creativa, ma certamente molto spesso, per non dire sempre, i versi nascono quasi da soli, senza l’inibizione, la razionalità, il freno del pensiero, e solo in un secondo momento, quando la loro essenza è fissata sulla carta, vengono corretti, perfezionati, rielaborati se necessario, ma senza perdere nulla di quello spirito originario che ne ha permesso la nascita in un istante di irrazionale, irresistibile, irrefrenabile creatività.
Nella tua poesia c’è tanta introspezione, è un viaggio impervio nei ricordi di giovinezza, in quella malinconia che coglie tutti noi in certe fasi della nostra vita. Cosa ti manca di più di quegli anni spensierati e cosa invece sei felice di aver attraversato?
Ogni fase della vita è un mondo a sé. Se riguardo quegli anni dall’adolescenza alla giovinezza, anche i momenti più difficili e dolorosi mi appaiono sotto una diversa prospettiva, consapevole che tutti hanno contribuito a costruire la vita nella sua interezza. Allora esistevano sogni, speranze, illusioni, l’idea di poter vincere la battaglia dell’esistenza, ma non mancavano delusioni, disillusioni, rassegnazione, un senso di fallimento che mi ha portato a sfiorare il dramma, e soprattutto la paura: speranza ed entusiasmo venivano sempre compensati da delusioni e timori. Tuttavia, riguardando quel periodo, anche ciò che era dolore ora, a distanza di anni ed anni, diventa dolcezza, la sofferenza e la gioia sono ammantate di nostalgia, perché comunque pareva vi fosse sempre una luce in fondo al tunnel. Tornerei volentieri a quegli anni, e non solo per ragioni anagrafiche, ma a patto di conservare l’esperienza e la conoscenza che ho oggi.
Nulla di quanto è accaduto allora è passato senza lasciare qualcosa, soprattutto le situazioni più difficili, e sono contento di averle attraversate senza dimenticarle ma portando con me tutto ciò che mi hanno insegnato, e che spesso diventa fonte di ispirazione e stimolo per la mia creatività letteraria, come se ancora dovessi tornarci sopra e rielaborarle ulteriormente: è quasi come dire che ogni cosa vissuta rimane per tutta la vita.
La poesia è un terreno faticoso da coltivare soprattutto oggi che la bella scrittura appare essere surclassata dalla notorietà, dalla visibilità mediatica. Perché si dovrebbe, invece, ritornare a leggere le poesie?
Il grande poeta Montale, insignito del Premio Nobel proprio cinquant’anni anni fa, tenne in occasione della cerimonia di premiazione un discorso fondato sulla questione se fosse ancora possibile la poesia… Mezzo secolo fa questo interrogativo assillava già il mondo della cultura, della letteratura, dell’arte, e chissà quante volte nei decenni o secoli precedenti ci si è posti la domanda sull’utilità e sul ruolo della poesia, spesso anche all’interno dei percorsi scolastici.
Perché tornare invece a leggere la poesia? Perché in un mondo di apparenza, immagine, vanità, rappresenta qualcosa di rivoluzionario e di autentico: non c’è poesia senza la verità dell’essere. Sono rimasto colpito e lusingato quando in più recensioni della mia raccolta è stato sottolineato il coraggio di mettere a nudo le proprie emozioni, poiché in un mondo come quello attuale può essere letto come segno di debolezza, quando invece non esiste forza maggiore della verità.
La poesia, di qualunque autore, è uno specchio in cui vediamo riflessi noi stessi, con la nostra forza e debolezza, con i nostri sogni e le nostre delusioni, con la nostra scelta per la vita o per la morte, e per questo oggi è guardata con sospetto, perché mai come in questi anni si ha paura della verità, della verità interiore, della vera natura del proprio essere.
Inoltre la poesia confligge fortemente con la tendenza alla superficialità, alla corsa precipitosa di oggi, al confinare l’esistenza esclusivamente al qui e ora: la poesia è intuizione, ricerca della parola più profonda e giusta, riflessione sulla magia della creazione, elevazione dell’aspetto spirituale e ritorno alla memoria, a ciò che è stato o poteva essere e non è stato… SI potrebbe quasi affermare che oggi scrivere, leggere, vivere la poesia è il vero atto sovversivo contro il conformismo totale e passivo di questo periodo.
Dopo tanta narrativa hai sperimentato la poetica, quale tra le due senti più affine a te?
Sono due mondi complementari, due facce della stessa medaglia, due diverse visioni di me stesso. Sia nei miei romanzi e racconti che nelle poesie è presente una proiezione delle vicende della mia vita e delle relative emozioni e memorie, e, se nelle poesie e nelle narrazioni in prima persona, questo aspetto è evidente e immediato, anche nelle narrazioni oggettive in terza persona, sia nel secondo che nel terzo romanzo che in molti racconti, compare di riflesso nei miei personaggi e nelle storie raccontate.
Amo allo stesso modo affrontare la scrittura narrativa perché mi affascina e mi entusiasma creare storie e personaggi e farli interagire, creare simbolismi all’interno delle vicende, e trasmettere emozioni e messaggi, e la poesia, sia in forma metrica che in versi liberi, quale confessione dell’essere e percorso della memoria che dà un senso a quanto vissuto. Per quanto riguarda la lettura, le mie poesie mi gratificano ed emozionano perché riportano alla luce in modo profondo, intenso, vivissimo episodi del passato, ricordi, nostalgie che prendono quasi l’aspetto di un mondo fantastico, di una fiaba che, per quanto dolorosa, suscita sensazioni dolci e tenere.
In più devo ammettere che, se mi presentassero le mie narrazioni e le mie poesie come opera di qualcun altro e le leggessi, mi piacerebbero tanto e non saprei davvero decidere cosa preferire.
Progetti futuri?
Per quanto riguarda i progetti futuri, sto scrivendo un romanzo nel quale sperimento per la prima volta la tecnica del flusso di coscienza: si tratta di un monologo interiore sempre costruito su un percorso di ricordi; ho in corso da tempo un ampio romanzo storico che procede a macchia di leopardo da anni, una nuova raccolta di racconti e il progetto di un nuovo saggio musicale, mentre si sta lentamente componendo il progetto di una seconda raccolta di poesie. Come sempre, porto avanti più idee contemporaneamente e poi una prevarrà sulle altre e diventerà il prossimo libro.
La scrittura è ormai per me una necessità interiore, indipendentemente che ci sia o meno un pubblico di lettori: ho notato che, man mano che aumenta in varietà e qualità la mia produzione e viene anche riconosciuta da ottime critiche professionali e dall’attribuzione di premi, diminuisce il numero dei lettori: ma tenere fra le mani un proprio libro, una propria creatura, come fosse uno specchio meraviglioso, pur se impietoso, è una sensazione stupenda.
Ho in programma qualche presentazione esclusivamente a distanza, perché per più ragioni non mi è possibile muovermi facilmente, ed anche perché ho dovuto prendere atto negli anni del sostanziale fallimento delle presentazioni in cui lotti da solo per organizzare e avere un po’ di pubblico, a volte persino contro chi ti ospita: magari un giorno scriverò un libro ironico (ma non troppo) sulla quantità di ostilità immotivata e ridicoli boicottaggi subiti nei miei primi anni da scrittore in occasione delle mie presentazioni e mancate presentazioni.
Regalaci qualche verso a te caro di questa silloge.
Difficilissimo per me scegliere dei versi dalla mia raccolta perché ogni poesia mi riporta a qualcosa, un episodio, un sentimento, un luogo, una persona.
Vorrei allora riportare qui due momenti relativi ai due diversi periodi a cui sono ispirati i componimenti, e la poesia che chiude la raccolta, l’ultima scritta, in cui al vissuto personale si assomma ancora una volta la mia venerazione per l’opera poetica di Yeats, cui è ispirata esplicitamente anche una poesia precedente “Primavera celtica”.
Il primo esempio ricorda l’adolescenza, il silenzio timido e timoroso di fronte al primo amore.
(Da “Era per me un rifugio averti accanto”)
Ogni volta risento la tua voce
e i tuoi pensieri inquieti
e rivedo i tuoi occhi
che credevo innamorati.
Era per me un rifugio averti accanto,
tristezza salutarti
a quel crocicchio
vicino alla stazione.
Eppure sapeva il tuo cuore
ma attendeva solo un cenno,
un passo sulle scale di quel treno,
e sedermi accanto a te
e partire verso l’infinito.
Il secondo frammento, scritto dieci anni dopo:
(Da “Rimpianti”)
Ho il cuore gonfio d’autunno e tempeste,
di cupa rabbia, di mesti pensieri
e di profonda nostalgia d’amore.
Non è l’autunno ridente di canti,
vivi colori di piante e di frutti,
di rossi boschi e di nubi lontane.
È il triste autunno presago di gelo,
dal cielo grigio di piogge e di lagrime:
è nel mio cuore quel pallido sole,
nel tuo ricordo la sera che scende
sulla mia vita e la svuota e la spegne.
E poi c’è la poesia finale, forse la mia preferita, il riassunto quasi del percorso che dalla schiusa dei fiori porta all’inverno infinito della morte.
Ultimo ricordo
Quando ricorderai la giovinezza,
portando il peso di un’intera vita,
e torneranno a te i momenti lieti
nella tua solitudine, affacciata
alla finestra di quel bianco inverno,
allora i tuoi pensieri inquieti e stanchi
vagheranno lenti all’orizzonte
e sentirai nel cuore il desiderio
di volteggiare ancora come neve
nel turbinio del vento di ogni giorno.
E accanto al fuoco acceso siederai,
tenendo fra le braccia i tuoi ricordi
e ad una ad una rivedrai le ombre
di chi passò nella tua vita cruda
e vi lasciò una traccia di colore
ormai sbiadito nella grigia nebbia.
Ricorderai quei giorni di passione
travolti dalla vita e cancellati
da ogni memoria che non sia nel cuore;
ricorderai quei giorni perché tanti
ti amarono con slancio e con ardore,
amarono di te la tua bellezza
incantatrice e la dolcezza lieve,
ma un solo sconosciuto amò il tuo pianto,
il tuo dolore e la tua solitudine,
anch’egli accanto al fuoco o contemplando
alla finestra la tua stessa neve,
mentre appariva dolce il tuo sorriso,
a riscaldare il mio infinito inverno.
Ringraziando Alessandro per il suo tempo ricordo agli amici lettori che trovate tutte le sue opere su amazon.it a questo Link








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